domenica 14 luglio 2019

LA VOLPE E L'UVA REMASTERED - capitolo 1 - Volpe Rosso Sangue

C'era una volta una crudele volpe senza nome. Essa era furba, molto furba. La più intelligente fra le volpi. Ma il suo non era un cervello da volpe studiosa. Era dotata di un'intelligenza più pragmatica, una sorta di astuzia e di imprevedibilità uniche, atipiche persino tra le volpi, che rendevano il suo cervello più simile a quello di un essere umano, nei pregi e nei difetti. Ma nonostante fosse piuttosto cerebrale, non era una volpe calma e indulgente, era una tra le più violente volpi mai esistite. La sua bocca era sempre lorda del sangue di qualche povero animale. Staccava spesso la testa alle lepri, per punirle della loro arroganza. Esse si consideravano più veloci di lei e infatti lo erano. Ma questo non era sufficiente per sopravvivere agli agguati di una volpe esperta come lei. Le istrici, erano difese dai loro lunghissimi aculei. Eppure nulla poteva impedire alla volpe di sbranare le loro carni vive e gustarle insieme alla loro sofferenza. E gli uccelli? Quale affronto alla sovranità della volpe. Quale insulto al suo intelletto. Solo perché erano dotati di un paio d'ali, pensavano di essere al sicuro. Eppure anche loro dovevano posarsi a terra, ogni tanto. E così la volpe non si privava neppure del piacere delle loro tenere ossa. Una notte era riuscita persino a strappare con un morso un'ala ad un gufo solitario. Dei cinghiali, era riuscita ad uccidere i cuccioli, approfittando poi del lutto dei genitori, per azzannar loro la gola senza pietà. E osò sfidare persino l'uomo, quando una volta sbucò alle spalle di un pescatore, per mangiare tutti i pesci che questi aveva raccolto in una cesta di vimini. L'uomo si arrabbiò, ma la volpe lesta, di sorpresa, gli morse una mano e riuscì a staccargli due dita.

Ed aveva ancora le fauci sporche del sangue del disgraziato pescatore e le sue dita nello stomaco, che la volpe maturò un'idea, tra sé e sé:

-"Certo, la carne è cosa buona e io in questo son per certo un'esperta. Ma ormai il suo sapore mi ha annoiato, sono persino stanca del suo odore. Devo cambiare, provare qualcosa di diverso. Non per una reale esigenza, ma per puro vezzo, per puro capriccio. Una velleità che un essere scaltro come me può permettersi, non avendo più niente da dimostrare a nessuno ed avendo provato di tutto"

Così la volpe uscì dai boschi e si recò in una terra dai campi coltivati, ove l'uomo regnava.

-"Solo due gambe e quasi totalmente privi di olfatto. Non rappresentano un pericolo, ma non devo sottovalutare il loro numero. Peggio dei topi!"

Pensò tra sé e sé la volpe e così, con cautela, la volpe si mosse tra campi e sentieri, dove c'erano cavalli, mucche e pecore al pascolo.

-"Amano anche circondarsi di altri animali, tra cui i cani. Ma sono solo stupidi servi che non possono causare guai a una volpe scaltra come me!"

Tutto ciò era assolutamente vero, la volpe non peccava di superbia, anzi era più che capace di valutare le circostanze e muoversi anche in quel territorio.

Arrivò infine nei pressi di una grandissima vigna, circondata da una gigantesca siepe. Al centro, fra tutti i filari, v'era una grossa torre, dove probabilmente abitavano i vignaioli. La volpe si intrufolò agilmente nella siepe, scrutando con attenzione uomini e donne intenti a vendemmiare. Ma li aveva già fiutati da una grandissima distanza e conosceva perfettamente le loro posizioni. Non c'era ostacolo che la volpe, con le sue grandissime capacità, non potesse superare. Cercò un filare ancora carico d'uva, dove nessuno in quel momento stava vendemmiando e lì si pose, per rubarla.

Eppure, nonostante fosse così furba e forte, un solo dettaglio era sfuggito all'ambiziosa volpe. L'uva si trovava troppo in alto. Ed essa non poteva raggiungerla, neppure saltando. Non c'era nessuno stratagemma che la volpe potesse mettere in atto, nessuna manipolazione, nessun inganno. L'uva, molto semplicemente, era al di fuori della sua portata. E niente, nulla avrebbe potuto fare la povera volpe per ottenerla. Nemmeno con l'aiuto di un dio o di un demone, nemmeno mettendo il mondo a ferro e fuoco e causando atroci e disperati tormenti a tutti gli innocenti del creato, la volpe avrebbe potuto ottenere quell'uva.

Ma la volpe non si diede per vinta. Essendo dotata d'ingegno, notò una scala che i vignaioli avevano dimenticato nei pressi. Arrotolò un pezzo di corda tra i pioli e con enormi sforzi la trascinò fino alla vite. Infine, legò un sasso alla corda e con una specie di contrappeso, riuscì persino a sollevarla. Vi si arrampicò, ma alcuni pioli al centro della scala erano marci, dopo essere stati esposti alle intemperie per chissà quanto tempo, e si sfasciarono al minimo contatto.

Così la volpe, che in cuor suo non aveva mai rinunciato a niente e aveva persino assaggiato la carne dell'uomo, penso tra sé e sé.

"Ma sì, in fondo è solo un capriccio. Non devo dimostrare niente a nessuno. In fondo non sono nemmeno fatta per mangiare uva, ma per mangiare la carne viva di chi sottometto. E' solo un capriccio. Posso rinunciare. E magari quest'uva non è neppure matura."

S'era ormai fatta sera e fu in quel momento, che dal buio oltre la siepe, sullo stralcio più alto della vite, si posò un allegro e cinguettante tordo. Esso non aveva nulla di particolare, era solo un comune tordo, uno come centinaia di altri tordi che affollavano quella regione. Saltabeccando sulla vite, come se niente fosse, il garrulo tordo raggiunse l'acino più alto del grappolo più alto di tutto il filare e lo gustò avidamente.

La volpe allora prese a ringhiare infuriata, quasi che il tordo avesse fatto un affronto a lei in persona e prese a fissare il tordo dal basso, con sdegno, rabbia e disprezzo.

Il felice tordo osservò la volpe curioso e gaudente iniziò a cantare:

-"Che hai sorella volpe? Mi presento, sono il tordo Ciril. Quest'uva è proprio deliziosa, non trovi anche tu?"

-"Maledetto!"

Ringhiò la volpe.

-"Sai bene che non posso raggiungerla ed osi insultarmi in questa maniera? Mangerò l'uva direttamente dal tuo stomaco non appena ti poserai a terra!"

-"Ma veramente io..."

Fischiettò l'uccellino.

-"Non avevo nemmeno capito che tu non potessi raggiungerla. Sono appena arrivato. Non era mia intenzione offenderti o nobile volpe. Accetta in segno della mia amicizia un grappolo d'uva, che per te staccherò col mio puntuto becco e farò scivolare a terra."

E infine il manto della volpe sembrò farsi, da fulvo che era, rosso come il sangue che aveva attorno alla bocca, quasi che un demonio o un'entità parve improvvisamente manifestarsi, come a scrutare il mondo dai suoi occhi, quasi che questi ultimi fossero due finestre spalancate verso un convulso abisso di follia.

-"Di tutte le umiliazioni, questa infine è la più grossa. Non c'è oltraggio che io abbia subito in vita a cui io non abbia potuto riparare con la lotta. Ma tu, te ne stai lassù al sicuro e mi parli come se fossi superiore a me, inoltre pretendi pure di lanciarmi a terra un'elemosina? No, nemmeno mangiare l'uva dalle tue interiora sarà sufficiente. Tu vedrai che io posso prenderla. Poi morirai."

Le trillanti risate del gioioso tordo riecheggiarono come artigli nelle orecchie della volpe.

"Prendere l'uva? Tu non puoi prendere l'uva. Non vedi che persino il grappolo più basso non è alla tua portata? Grandi sono i doni che Artemide ti ha concesso, o volpe feroce, velocissima di passo quanto di pensiero. Ma le ali non sono tra questi. Le piume sono un privilegio concesso a noi alati, così come i frutti dei rami più alti. Se volessi, io, potrei persino levarmi sopra la cima di un castagno e afferrarne i frutti. Ma tu non potresti mai, potresti solo aspettare che giunga l'ora in cui esso decida di abbandonare i suoi figli alla madre Gaia.

E poi voi volpi siete notoriamente carnivore; vuoi forse sovvertire l'ordine della natura e il volere degli dèi, per un tuo mero capriccio?"

E così, la volpe, non riuscì a perdonarsi mai più di aver in cuor suo rinunciato ancor prima di aver provato. La questione ora aveva di nuovo importanza e aveva eccome qualcosa da dimostrare. Non all'inutile tordo, ma agli dèi, a quegli esseri che decidevano il destino del mondo e ancora prima che nascesse, avevano determinato che una volpe come lei non potesse cogliere uno stupido frutto.

-"Sì. Io avrò quell'uva. Io non rinuncerò mai. Se anche Zeus mi lanciasse le sue strali, io le schiverò e le rimanderò al mittente! Finché tutti gli dèi taceranno!"

Quando la volpe ebbe scandite queste parole, la vite parve agitarsi nervosamente. Proprio quella che la volpe stava puntando con tanto affanno trasfigurò ed assunse le sembianze di Dioniso stesso, il grappolo che la volpe desiderava, posto proprio sulla sua fronte. Il dio, nudo, tese una mano al cielo e proprio in quell'istante piovve da esso il tirso, il bastone divino capace di infondere linfa vitale nelle cose.

"Osi, sfidare me, volpe mortale? Un dio dell'Olimpo?"

E puntò rapido come una saetta l'asta verso la volpe, concentrando sulla punta l'energia vitale che sarebbe bastata per far vivere la fauna di un'intera isola. Nessun essere mortale sarebbe stato capace di sostenere un'infusione di tanta energia e persino qualche dio sarebbe stato messo in difficoltà da un attacco simile.

La volpe, che ormai era folle ed era dotata di un grande istinto, non si intimorì per nulla. Balzò e morse il tirso di Dioniso e dondolandosi aggrappata ad esso, deviò il colpò, che andò a centrare in pieno il tordo Ciril.

Per alcuni secondi non successe nulla. Poi gli arti del povero tordo cominciarono a contorcersi come se fossero fatti di fil di ferro. Le ali si piegarono al contrario, poi si arrotolarono come pergamene. Il becco si spalancò ad angolo piatto.

-"Le ali mi si stanno spezzando, aiuto!"

-"Non posso più fare nulla per te, compagno tordo."

Disse Dioniso.

-"Proverai le stesse sensazioni che si provano nei Campi Elisi ancor prima della morte."

E così il tordo Ciril cantò allegro e festoso per l'ultima volta, in un'estasi di morte e disperazione. E tutti i tordi del mondo in quell'istante furono scossi da un brivido di piacere e di dolore, come se la vita e la morte insieme si fossero mescolate in una bevanda più dolce e tossica del più potente dei vini. E non furono gli stessi, mai più.

Dioniso non era un guerriero. Il tirso era potente, ma occorreva tempo per ricaricare.

Nel frattempo, la violenza degli eventi e le luci abbaglianti avevano richiamato l'attenzione dei vignaioli, che stavano ormai rincasando, affaticati per il lavoro.

Con gli ultimi sprazzi di energia, Dioniso levò la fatica ai contadini e diede loro un'insolita fame di selvaggina. Infine, si ritirò.

I vignaioli recuperano forconi, asce, falcetti. I figli di questi lanciavano sassi per mezzo di una fionda, le mogli seminavano esche avvelenate tra le viti. Avevano persino dato fuoco alla siepe attorno alla vigna, ormai resi folli dal dio.

La volpe era in trappola, tuttavia tra le sue fauci vi erano ancora brandelli del tirso. La rabbia verso questo dio vigliacco che era fuggito senza combattere accese la volpe di una potente rabbia cremisi. Infine qualcosa di orribile uscì dai sui occhi e la rivestì. L'essersi nutrita dello scettro divino aveva risvegliato qualcosa in lei, qualcosa che forse c'era sempre stato.

E divenne così non più una volpe, non più una semplice parte della natura, ma qualcosa che trascendeva essa. Qualcosa che fagocitava fiamme come fossero acqua e le risputava sulle vittime. Ma non erano fiamme normali, erano viscose come lava, ed uccidevano lentamente, fra atroci sofferenze, i nervi lentamente divorati in una terribile agonia di fronte alla quale qualunque regno dei morti sarebbe stato un sollievo.

-"Ringraziate per il dolore e la morte che vi sto offrendo, miseri burattini di un dio codardo, togliendovi a una vita miserabile e infame."

I vignaioli, le mogli, i figli, le figlie e tutti gli animali perirono tra le lingue di fuoco incandescenti ed eburnee.

E fu in quel momento che la volpe si rese conto dell'atrocità accaduta:

-"Oh no, in questo modo si è incenerita tutta l'uva! La mia unica speranza rimane il grappolo posto in capo a Dioniso!"

Ma la volpe ormai era dotata di un olfatto superiore a quello di qualunque volpe mortale. Fiutò Dioniso, che sembrava essersi ritirato in un uliveto, ad attingere linfa vitale da un enorme ulivo, uno di quelli che un grande eroe avrebbe scelto per fabbricare un arco o un letto nuziale.

Cominciò a correre verso quella direzione, ma Artemide gli si pose innanzi.

-"Volpe senza nome, non essere avventata!"

Disse la dea.

-"Io, protettrice delle bestie selvatiche, non posso permettere la tua morte a causa di un semplice grappolo d'uva. Se ora affronterai il dio, la tua disfatta sarà certa!"

-"Ma io devo avere quell'uva! Io avrò la mia vendetta!"

-"Lascia almeno che io ti spieghi la sorgente del tuo potere, o furiosa volpe assassina. Sappi che io, Artemide, da sempre provo uno sconfinato amore per ogni belva o fiera che vive sulla terra. Tuttavia l'amore, se non controllato, può generare mostri. Da mia madre Leto io venni alla luce, presso l'isola di Delo, per fuggire alla maledizione di Era. Infatti io fui il frutto dell'adulterio di Zeus. Ma quello che nessuno sapeva è che quella notte un orrore fu messo al mondo: l'anatema della regina degli dèi aveva lo stesso colpito. Mio fratello, un divino cervo, elegante nell'aspetto e muscoloso, dal manto sempre lucente, nacque quella notte, in quell'isola disgraziata. Il suo nome è Lathos e a dispetto del suo fiero aspetto, è nel suo animo che si nasconde la malvagità. Infatti egli è sadico oltre ogni dire e la tortura e la punizione dei viventi sono il suo più grande diletto. Per anni si celò a me e al mondo, dimorando in una grotta e nutrendosi di coloro che vi si appartavano dentro. Infine, conoscendo bene il mio amore per le bestie, mi si presentò e con la sua bellezza, mi sedusse. Fui gravida a causa di questo animale, non sapendo che era mio fratello, e per nove mesi la creatura che avevo in grembo mi torturò con dolori lancinanti. Non potevo nemmeno lamentarmi o urlare o raccontare la cosa a qualcuno. Ma il sorrisetto di Era mi fece intuire che lei sapeva. E così, dopo un parto di uno sconfinato dolore, venne al mondo una creatura, che io abbandonai e a cui non diedi un nome. Quella creatura sei tu, malvagia volpe senza nome."

Infine la volpe capì. Capì da dove derivavano la sua forza, la sua astuzia e la sua nobiltà. E anche la crudeltà e la rabbia che aveva in corpo. Capì anche che era suo diritto di discendenza sovvertire le leggi del mondo e sfidare un dio.

-"Madre, dammi un nome".

Disse.

-"Kyrios, tu sei. Padrona del destino e di tutto ciò in esso contenuto."

E quando ciò gli fu rivelato, la sua piena potenza emerse. Non era più del colore del sangue, era proprio fatta di sangue. Viscosa, liquida, impenetrabile a qualunque arma brandita da uomo o donna, da spartano o amazzone. La sua coda, da singola che era sempre stata, si fece triplice. Le tre code, triplicarono ancora. Le sue pupille si fecero nere, più nere del nero dove sono adagiate le stelle, e sembravano quasi capaci di inghiottirle. Ed era come se questo vuoto fosse capace di sprigionare fiamme violentissime, di un calore tale che non potesse essere compreso da nessun umano o da nessun dio, più immenso di qualsiasi titano fosse esistito prima dei tempi.

-"Qualcosa vuole castigare gli dèi, Kyrios. Quel qualcosa ha voluto che tu esistessi"

E così, Kyrios, radunò a sé ogni volpe mai esistita. Ma per farlo dovette cambiare aspetto e mutare in forte volpe colma di eleganza e maestà, o le avrebbe terrorizzate.

-"Compagne volpi, fratelli, sorelle, amici miei. Noi volpi, siamo forse tra gli esseri più sorprendenti della foresta. Noi volpi possiamo persino schernire l'uomo, il figlio di Prometeo, che tolse il fuoco agli dèi. Eppure, qualcuno vuole che noi volpi abbiamo dei limiti. Qualcuno vuole impedire a noi volpi di essere sovrane della natura. Ebbene io dico che quel qualcuno dovrà capire chi siamo! Avanti, per la nostra vittoria!"

Il carisma della volpe era ormai smisurato. Se anche le altre volpi non avessero voluto, si sarebbero mosse contro la loro stessa volontà, alle parole di Kyrios. Ma volevano.

E fu così che inizio un'epoca di terrore nel mondo, un'epoca in cui uomini e dèi soffrirono a lungo per il capriccio di una piccola volpe. Il terrore regnò per secoli e atrocità di ogni genere furono commesse. Chi dalla parte di Dioniso e chi dalla parte di Artemide, ognuno sacrificò qualcosa di prezioso. Gli oceani furono lordi del sangue di ogni creatura vivente e dagli abissi di questo sangue emersero creature dagli occhi bianchi e vitrei e dotate di denti affilati, che furono terrorizzate dallo spettacolo che si presentava sulla terra.

Una cosa è certa, dopo che ogni male ebbe avuto la meglio sul bene, dopo che vivere e soffrire avevano assunto per tutti lo stesso significato, la volpe non aveva ancora rinunciato al suo grappolo d'uva.